Le Voci della Luna è un associazione culturale di Sasso Marconi che si occupa di promuovere la poesia e la scrittura creativa. Da 26 anni bandisce il Premio di poesia inedita Renato Giorgi, punto di riferimento nazionale delle nuove voci inedite della poesia italiana. Il premio a un grande uomo, partigiano, sindaco ed educatore: Renato Giorgi.
Questa foto è stata presa dal sito del Comune di Modena e fa riferimento all’ospitalità fornita ai bambini del meridione dalle famiglie dell’Emilia-Romagna nei mesi successivi alla guerra.
Di resistenze e catastrofi. Di Liberazioni
Sentirsi comunità
La catastrofe nella tragedia antica era il momento dello stravolgimento massimo, la parte finale, il cambiamento risolutore. L’etimologia della parola stessa indica una rottura del ritmo, l’arresto che precede una ripresa. I sociologi dicono che le conseguenze di una catastrofe, di questa rottura del ritmo, dipendono dalla tenuta del tessuto sociale, dal sentirsi comunità, dalla capacità di trovare risposte partecipate ai problemi che ci attendono. La ripresa può addirittura essere un’opportunità se c’è cooperazione, se si è in grado di sostenere e comprendere la necessità di innovazioni tecnologiche, se si persegue il fine di ricostruire identità collettive attraverso la difesa del patrimonio paesaggistico e culturale.
Similmente a ciò che avviene in poesia, dove frattura del verso e cambio di ritmo, incidono sull’energia comunicativa, sulla riuscita e sulla potenza espressiva dei versi, può avvenire che dalla rottura della routine segnata dall’avvento di una catastrofe possano generarsi energie nuove per la comunità.
Sono giorni in cui al dolore per le assenze, al silenzio dello sconforto, comincia ad aggiungersi il pensiero per il domani, per i colori e per le forme con cui si realizzerà; molto dipenderà dalla capacità di lavorare su noi stessi, per realizzare quell’equilibrio necessario a disporre di adeguate competenze, per tornare nuovamente in relazione con l’esterno.
Ci attendono nuovi giorni di resistenza e la resisenza dovrà essere comune e propiziatoria per una nuova liberazione.
Per questa liberazione dovremo resistere alla tentazione di tornare ciascuno e in fretta alle proprie consolidate abitudini; resistere alla tentazione di considerare necessario il sacrificio di tempi e spazi, dell’ambiente, del nostro benessere psichico, della salute e della cultura.
Dovremo resistere alla fretta e all’ansia, concedere e concederci il tempo necessario a ricostruire la nostra identità senza deleghe distratte o rancorose alla politica, senza tornare ad identificarci esclusivamente come attori della produzione o come pedine di interessi economici.
Resistere ancora oggi, come 75 anni fa, vuol dire liberarsi dalla tentazione di ricercare il proprio esclusivo benessere mettersi a disposizione della comunità, non sottrarsi alla relazione.
Resistere vorrà dire ancora liberarsi e liberare dalla convinzione che le soluzioni siano date una volta per tutte perchè ogni conquista del benessere comune va presidiata e difesa, senza distrazioni.Resistere vorrà dire liberarsi dalla tentazione di contrapporsi gli uni agli altri in cerca di carnefici e martiri perchè ci sono tragedie più durature e gravi di un’epidemia e sono tutte quelle che potrebbero davvero metterci in ginocchio fino a non farci più rialzare.
La Voce dei poeti andrebbe sempre ascoltata con attenzione, perchè in esse vi è quell’intuito intimo del mondo che permette di osservare il dolore senza averne paura, guardare al presente per individuarne la stortura, immaginare il futuro con l’energia del desiderio che è, di per sè speranza.
In tante poesie di questi ultimi decenni c’erano i presagi per gli effetti che avrebbe avuto questo nostro correre dissennato, questo individualismo egoistico. Il futuro, diceva Rilke, “entra in noi molto prima che accada”. Spetta ai poeti essere Cassandre, spetta a noi, ascoltarli. I poeti ci ricordano che la sfida “oggi non è fare il bello o il bene ma è farlo assieme”,.
Renato Giorgi, pochi giorni prima di morire, ripeteva alla sua amata Anna: «la vita è bella, anche se l’anima è lacerata, perché il dolore ci aiuta a capire e a dare felicità agli altri....non dimenticarlo». Non lo dimenticheremo, neanche noi.
Vogliamo oggi essere qui, assieme a tutta la città di Sasso, con la Voce dei Poeti, per rendere omaggio a chi spende ed ha speso la propria vita per tutti noi, 75 anni fa come in questi ultimi due mesi, ringraziarli a nome nostro, alla nostra maniera. Senza avere paura del dolore, guardandolo dritto negli occhi, per prendere da quello la forza necessaria a rialzarsi.
Le poesie che abbiamo scelto parlano della capacità di farsi testimoni anche del dolore, senza nascondere l’assurdo che è nel mondo. Altre poesie, vogliono essere al tempo stesso omaggio a chi si è speso a nome di tutti e a chi è rimasto sul campo; vogliono essere un invito a farsi carico di queste eredità di cura.
Poesie che elaborano lutti per consolidare la memoria collettiva perchè in una comunità o in un paese “il lutto di uno è un lutto per tutti”.
Altre nostre poesie annotano pensieri ancora “caldi” su quello che abbiamo vissuto o di quello che ci aspetta, su quella gentilezza che abbiamo incontrato e che vorremmo fosse la cifra della ricostruzione «comune»
Rassicurare gli assenti, l’eredità della cura
Marinella Polidori
Potremmo essere migliori
confessare senza assolverci e
continuare, in penitenza,
a rassicurare gli assenti
sorvegliando i loro affetti
risolvendo affanni
continuando nella cura
abbandonata
Potremmo farci misura gentile
di loquacità esondanti
tenere a mente,
imparando la lezione,
la fatica sorda
di un dolore muto
e Il sorriso di chi
sa spegnere,
coi lati della bocca
delusioni e dissenzi,
sopraffazione
Nei giorni prima di morire,
è certo,
lasciamo eredità di segni,
gesti e parole
sacri come sigilli
irremovibili,
eredità consolatorie
segrete e
incomunicabili.
Potremmo essere migliori
portarci dentro quei segreti,
incelestire per questa dote
imparare a migliorarci,
zitti, nel dolore.
Prova a cantare il mondo mutilato
Adam Zagaiewski
Prova a cantare il mondo mutilato.
Ricorda le lunghe giornate di giugno
e le fragole, le gocce di vino rosé.
Le ortiche che metodiche ricoprivano
le case abbandonate da chi ne fu cacciato.
Devi cantare il mondo mutilato.
Hai guardato navi e barche eleganti;
attesi da un lungo viaggio,
o soltanto da un nulla salmastro.
Hai visto i profughi andare verso il nulla,
hai sentito i carnefici cantare allegramente.
Dovresti celebrare il mondo mutilato.
Ricorda quegli attimi, quando eravate insieme
in una stanza bianca e la tenda si mosse.
Torna col pensiero al concerto, quando la musica esplose.
D’autunno raccoglievi ghiande nel parco
e le foglie volteggiavano sulle cicatrici della terra.
Canta il mondo mutilato
e la piccola penna grigia persa dal tordo,
e la luce delicata che erra, svanisce e ritorna.
Attendere prego
Francesca Eleonora Capizzi
A fare la spesa c'è una lunga fila prima di consentire l'entrata diretta
dalla porta di ingresso presieduta da un uomo con una divisa blu scuro
quasi tutte le persone davanti a me dietro di me hanno metà del loro
volto nascosto da una mascherina di immacolato candore e a guardare
oltre ve ne sono alcune con permanenza di colore verde azzurro grigio nero
si attende di fare la spesa posizionati a giusta distanza si tende a stare composti
a non invadere lo spazio fisico altrui divenuto prezioso vitale sacrario
di bene e di male potenziale da cui proteggersi una volta giunti all'interno
si ha premura di fare presto per lasciare posto a chi è ancora in fila
la chiusura è stata anticipata l'orario in cui ora ci troviamo è quasi giunto
ai suoi ultimi rintocchi siamo come molle scattate verso i comparti del cibo
alla ricerca delle derrate alimentari da trasportare in casa in salvo nel luogo
dove ci viene chiesto di restare per il tempo necessario finché non ci saranno
altri contagi decessi mi chiedo cosa ci separa da un confronto aperto
dal riconoscimento delle nostre responsabilità cosa ci aspetta dopo avere tutti/e
contribuito non si sa bene in quale fase più precisamente in quale tempo
cosa resterà in noi di questa non univocamente tragica esperienza
mi prende il silenzio come un sonno metafisico mi gela come un miracolo
sferico presagito in un so dove mi oltrepassa per rimettermi nel punto iniziale
la natura vigente in me fuori di me con le sue leggi immutabili
di vita morte rigenerazione la relazione tra i regni una calamita
divengono le parole voglio piangerle e fallisco in un'arida miseria
voglio scriverle in versi e mi blocco nel retroscena di risultare didascalica
voglio un raduno di corpi vivi
in cui ci si senta com-presi
Piccole gentilezze
Danusha Laméris
Penso al modo in cui, quando cammini
in un corridoio affollato, gli altri spostano le gambe
per farti passare. O come tra sconosciuti ci si dica ancora “Salute!”
quando qualcuno starnutisce, lascito
della peste bubbonica. «Non morire», gli stiamo dicendo.
A volte, quando ti cadono i limoni
dalla busta della spesa, qualcuno ti aiuta
a raccoglierli. Per lo più, non ci vogliamo fare del male.
Vogliamo ricevere la nostra tazza di caffè caldo
e ringraziare la persona che ce la porge. Sorridere
e avere indietro un sorriso. Dalla cameriera
che ci dice “ecco cara” quando ci porta la zuppa con le vongole.
E dall’autista del camioncino rosso che ci fa passare.
Abbiamo così poco gli uni degli altri, ora. Siamo così lontani
dalla tribù e dal fuoco. Soltanto questi brevi attimi di scambio.
E se fossero la vera dimora dei santi, questi
templi fugaci che costruiamo insieme quando diciamo “Prendi
pure il mio posto”, “Prego, passi prima lei”, “Che bel cappello che hai”.