Il filo che mi lega a questa comunità di morti è la storia di un paesino dove hanno vissuto le famiglie dei miei genitori.
L'affetto e la nostalgia della relazione che si è interrotta, insieme alle fotografie e alle date su ogni lapide, mi raccontano spaccati di vita e gli anni della guerra, perché una parte del cimitero è occupata dalle persone che in quegli anni sono morte.
Altri invece li ho conosciuti, la loro morte è recente: sono quelli che nelle serate in famiglia, quando da bimba trascorrevo l'estate in montagna insieme ai cugini, raccontavano accadimenti della guerra e del dopo guerra che per noi erano come favole.
Tra tutti il racconto del del fratello del babbo, Gino, che si era unito ai partigiani e che fu ucciso dai tedeschi a 20 anni, denunciato da una famiglia vicina. Insieme a lui il suo amico Ilario di 18 anni. Adesso sono insieme per sempre, nella parte vecchia del cimitero, due vite interrotte da un unico destino, ricongiunte nel ricordo .
Un altro racconto che noi bambini volevamo ascoltare era quello di quando la casa della nonna, che era l'osteria del paese, era diventata il centro operativo dei tedeschi sul finire della guerra. Lo zio Gino era già stato ucciso, e la famiglia della nonna viveva sospesa tra il dolore del lutto e la minaccia di ulteriori rappresaglie tedesche ed era costretta a questa difficile convivenza . Si pativa la fame, le figlie femmine erano insidiate dai soldati, le stanze requisite per farne magazzino di armi e di bombe.
Poi in fretta e furia i tedeschi erano scappati e in casa della nonna era stato dimenticato un baule. Lo avevano aperto e dentro era pieno di soldi, tantissimi soldi.
Nessuno della famiglia ne aveva parlato in giro e nessuno aveva osato prenderne, il rischio di ritorsioni era fin troppo presente. Dopo una settimana era tornato un tedesco a cercare il baule, e la famiglia l'aveva consegnato.
Da più grande, quando a scuola c'era storia, ho capito che sui libri era stato riportato l'indice degli avvenimenti, ma che per ogni numero e per ogni luogo c'era un pezzo della vita dei nostri nonni e delle nostre nonne, dei nostri padri e delle nostre madri.
Sono stata fortunata a poter ascoltare quei fatti direttamente da chi li aveva vissuti, perché in quei racconti mi sono identificata, ho provato lo stesso dolore e la stessa paura, ho respirato il senso di precarietà e di impotenza, ho gioito della liberazione.
In questo piccolissimo cimitero di montagna è bello ricordare quanta vita c'è nella memoria del passato, e ho rispetto di questa generazione che se ne è andata e di quella di oggi che ci lascia in silenzio, sola.